Pubblicato “ALZATE LE DOSI”, inno alla libertà di essere noi

PRESENTAZIONE “ALZATE LE DOSI” di Sara Albanese
Domenica 13 Maggio 2018 – ore 18.00
presso Libreria Lovat (Villorba – Treviso)
Moderatrice Tiziana Tozzola di Passi e Suoni Web TV

Esistono libri che raccontano trame immaginarie, altri indagano la storia o l’attualità, altri ancora narrano leggende o cantano versi e suggestioni. Esiste una letteratura che parla di se stessa ed una che invece parla di noi. Esistono testi teatrali, romanzi epistolari, diari reali o fittizi. Esistono varie forme di lettura.

E poi esiste questo libro.

Il crocevia di percorsi raccontati, taciuti, gridati, rivendicati, interrotti, nascosti, intuiti. Percorsi che decidono di scriversi da soli e poi ti guardano dalla scrivania, per sfidarti a pubblicarli, per testare il tuo coraggio nell’uscire allo scoperto ed estrarre la Spada dalla Roccia. La spada della dignità e dell’orgoglio che viene sfilata dalla roccia del pregiudizio e della vergogna, perchè alla Tavola Rotonda di questo mondo spigoloso ogni persona possa sedersi nel rispetto della propria “psicodiversità”, della propria sensibilità che va riconosciuta come affilata e magica quanto quella spada forgiata dal fiato dei draghi.

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Cinque monologhi. Semplicemente cinque monologhi, o forse si potrebbe dire dialoghi, considerando che gli interlocutori sono spesso fuochi fatui in questa società del falso confronto, in cui si finge di voler affrontare qualsiasi tematica ma in fin dei conti la si palleggia tra tabù mai superati e patine fintamente compassionevoli condite di una mala informazione che spesso non è da preferire al silenzio stesso.

Una voce, forse la mia, o forse quella dei viandanti solitari che affollano le vie di un pellegrinaggio emotivo, umano, a tratti vagamente filosofico ma sempre pragmatico, verso la rivendicazione della normalità che alberga nei disagi psicologici del nostro tempo, la denuncia del pregiudizio che inchioda anime sensibili al legno dello stereotipo, dell’inettitudine medica, della vergogna o dell’accondiscendenza paternalistica da cui siamo pronti ad uscire. Siamo pronti a bussare alle cattedrali di preconcetti, noi viandanti. Noi che non temiamo più di scattare il selfie del nostro Mr Hyde perché già lo conosciamo, mille volte riflesso allo specchio, mille volte domato, mille volte temuto, mille volte riconosciuto nello sguardo di tutti i benpensanti dall’agile coscienza che siedono sotto la veranda della propria “normalità”, ignari del fatto che ne esista una variante infinita, pronta ad essere esplorata come un fondale di mondi sommersi di cui non è dato conoscere la profondità.

Per noi, figli di Ulisse ma specchi di Cassandra, Itaca siamo noi stessi, forti di quella che viene ritenuta la più umana delle debolezze: la canonizzata sensibilità che solo apparentemente ammala, solo temporaneamente annienta, ma con il tempo diventa la più grande occasione di percepire il mondo in tutte le sue sfumature, dalla tenerezza al terrore, dalla rabbia alla delicatezza, dall’umiltà all’orgoglio.

Al “generoso” che guarda con pietà noi sensibili viandanti, al medico che ci vorrebbe inguaribili forse perché non esiste cura per l’anima, al Dio di compassionevole omertà che ci osserva in silenzio, noi rispondiamo con la forza che ci ha consentito di guardare il mostro negli occhi, di combatterlo e di girargli le spalle. Sappiamo che è ancora lì, ma non ci ha avuto.

Con coraggio allora possiamo abbandonare quell’angolo di imbarazzo e disagio, possiamo fare una bandiera della nostra missione di sdoganare la nostra vita per consentire ad altri viandanti, con lo sguardo chino di pudore, di alzare la testa e non sentirsi più soli.

Perché la responsabilità di superare mali dai nomi che spaventano, risiede in tutti noi. In noi che abbiamo una voce, una penna, carta su cui scrivere ed un’anima di cui parlare.

Conosciamo a memoria ogni foglietto illustrativo, li collezioniamo come cicatrici, ma quando leggiamo gli effetti collaterali della vita, ancora una volta, senza troppa paura, possiamo dire anche noi: Alzate le dosi


“Come tutti gli esseri senz’anima, non potete sopportare chi ne ha troppa.
La gente sana detesta i malati.
Chi è felice non può vedere chi soffre.
Troppa anima! Che seccatura, no?
Allora si preferisce chiamarla malattia: e tutti sono in regola, contenti…”
Albert Camus, Caligola

No, non ho la presunzione di offrire risposte ai mali del nostro secolo, nè di aggiustare le anime infrante, ma posso dire di avere oggi abbastanza spregiudicatezza per chiedere a tutti coloro che, ammalati di “troppa anima” come scrive Camus, possono alzare lo sguardo dalle punte delle proprie scarpe, per guardarsi negli occhi e sorridersi.
Nessuno può curarli perchè non sono ammalati, nessuno può giudicarli perchè non hanno colpe.

Tutto si riduce ad una decisione ineludibile che devono compiere in prima persona: restare nel proprio cantuccio di pudore oppure uscire e lasciare che il sole scaldi il viso, facendo una bandiera di quello che sono. Non di rabbia, non di sofferenza, neppure però di vittoria o di eccessiva fierezza. Una bandiera di autenticità.
Vi dico che si può fare perchè io l’ho fatto, a partire da questo libro che spezza le convenzioni, la vergogna, la compatta e scivolosa convenienza dell’intellighenzia.
Una rivendicazione di verità per sdoganare parole che non devono più fare paura.
Niente più lacrime ma gocce di sudore… A volte di sangue, ma sarà quello di Golia colpito in fronte da Davide.

Ed ancora una volta… Memento audere semper!

Sara Albanese

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