Oggi probabilmente non si chiamerebbe Madame bensì Mrs Bovary, poiché la società a cui si ambisce pare ormai essere quella di matrice anglosassone, americana in particolare. Ma non cambia il significato intrinseco di questo slancio verso l’idealizzazione di un modello di vita che si scontra con la sua stessa ristrettezza, i suoi limiti, portando alla trasgressione dello stesso, in una costante e tormentata ricerca che conduce Emma a voler terminare la propria esistenza prima del tempo. Nessun compatimento da parte di Flaubert, nessun giudizio, ma neppure alcuna via di fuga per questa donna creata per incarnare l’intelligenza e la forza, così come la debolezza e l’irrazionale affezione ad uno stereotipo che viene inevitabilmente rifiutato dalla vitalità mentale, conducendo alla condiscendenza verso una morale dubbia.
In questa breve citazione, tuttavia, viene in qualche modo estrapolato il dolore individuale che proviene dalla frustrazione e dalla sensazione di solitudine percepita in un mondo inadeguato. Non si tratta di una sofferenza statica, ma di un tormento dinamico, evoluto in un corso di pensieri e di necessità che spingono e insistono fino a trovare sfogo solo nel potere quasi liturgico della parola. Una parola con cui tutti noi cerchiamo di raggiungere i nostri simili ed il cielo sopra di essi, per muovere l’universo ad un’empatia che ceda il passo alla compassione. Eppure tutto ciò che otteniamo è semplicemente una melodia di latta, battuta sulla schiena di pentole vuote che “fanno ballare gli orsi” ovvero raggiungono solo i livelli più bassi dell’umana e goffa ritualità, in un circo Beckettiano dell’assurdo in cui il tentativo di essere compresi non si leva oltre una grossolana danza di ammaestramento.
Sara Albanese
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